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Agosto
12
2007

Difendiamo i beni comuni

Scritto da c.s.o.a. Angelina Cartella

‘Sta terra è a nostra... e nun s'ha da tocca'!

La società moderna è la società dell'immagine e della televisione, di internet e dei videofonini. È una società che ha perso quei grandi riferimenti sociali collettivi, capaci nei decenni scorsi di forti mobilitazioni che hanno portato alla conquista di diritti e spazi di agibilità, trasformandosi in una società atomizzata ed individualista, in cui i nuovi miti sono calciatori, tronisti e veline.

Trent'anni di pensiero unico liberista ci hanno consegnato un mondo in cui ciascuno si trova solo e proiettato sul mercato del lavoro in diretta competizione con tutti gli altri. Parole magiche come "sviluppo" e "progresso" hanno fatto da copertura alla scomposizione ed alla frammentazione del mondo del lavoro, alla riduzione dei diritti sindacali frutto delle grandi lotte operaie, all'incertezza generalizzata anche per chi, formalmente, possiede lavoro e reddito. Precarietà, flessibilità ed incertezza, insieme alla pesante diminuzione del potere di acquisto dei salari dovuta all'assenza di una politica di controllo dei prezzi in seguito all'introduzione dell'euro, sono le redini con cui i padroni ci tengono imbrigliati, ricattati tra lavoro precario o nero, piegati alle loro esigenze ed ai loro profitti, senza diritti né tutele sociali: gli schiavi del terzo millennio!

Tutto questo, naturalmente, in nome dello "sviluppo" e del "progresso", della "competitività" e del "PIL"!

Questa devastazione sociale non basta però a placare la voracità del capitale e la sua sete insaziabile di profitto. Ed è sempre la logica dello "sviluppo" ad offrire le risorse da depredare, attraverso la filosofia delle grandi opere, inutili e devastanti, come il ponte sullo Stretto, la TAV ed il Mose, la costruzione di rigassificatori, centrali ed inceneritori, ed al ricorso alle privatizzazioni selvagge di beni e servizi.

Nel nostro Sud vanno aggiunte problematiche strutturali storiche che rendono la situazione, se possibile, ancora più drammatica. Il tessuto sociale meridionale, altamente frammentato e privo da troppo tempo di una prospettiva di reale cambiamento, è costretto a confrontarsi con una disoccupazione endemica che ancora oggi produce emigrazione giovanile, l'insistenza di un capitalismo straccione ed arrogante, la compresenza di un'economia criminale diffusa e collusa con la classe dirigente. L' assenza di un ruolo propositivo da parte della chiesa calabrese contribuisce a far crescere una cultura sociale senza valori. Nonostante gli ammonimenti dei vescovi calabresi di condanna ad un regime mafioso che usa ampiamente la pratica dell'usura e che privilegia l'appartenenza partitica alle competenze, si assiste, di fatto, al sostegno di un sistema che impegna grandi risorse pubbliche (decreto Reggio, fondi strutturali europei ecc.) a costruire un divertimentificio senza sforzarsi di immaginare una qualità migliore di vita per i propri cittadini. Forte è la preoccupazione per una economia drogata che preannuncia grande disagio sociale nel momento in cui cesseranno di arrivare i finanziamenti esterni.

Tutto questo ha favorito e promosso le logiche dei potentati economico-politico-criminali, con l'ottica dell'accaparramento indiscriminato di fondi pubblici, trasformando i nostri territori in cantieri sterminati o discariche.

Un esempio sono i lavori in corso della Salerno - Reggio Calabria che, tagliando come un coltello la nostra regione, mettono a repentaglio il patrimonio boschivo, le pianure e i corsi d'acqua, i quali vengono cementificati e deviati, indebolendo un ecosistema già messo a dura prova, tra l'altro in aree ad alto rischio sismico. Tutto ciò inseguendo un ormai anacronistico, costoso e dannoso, trasporto sul gommato e, naturalmente, la possibilità di far pagare il pedaggio a chi per anni dovrà subire i disagi dei cantieri. In quest'ottica non va neanche sottovalutato lo spauracchio del ponte sullo Stretto, congelato dall'attuale governo ma mai definitivamente accantonato: parecchie delle opere che attualmente si stanno progettando con i fondi ex-ponte in Calabria e Sicilia, staccate da una progettualità più generale, hanno naturale approdo nella costruzione di questo mostro. E lo stesso per la dismissione del traghettamento statale nell'area dello Stretto.

Rischi sismici, scempi edilizi, inquinamento contribuiscono a mettere a serio rischio una delle risorse più importanti: l'acqua. Il Sud è ricco di risorse idriche, nonostante ciò, più del 50% dell'acqua potabile si disperde a causa della fatiscenza delle reti idriche. Inoltre, il processo di privatizzazione in atto sottrae alle comunità il diritto di accesso a questo bene comune vitale, regalandone invece a società, spesso multinazionali, come nel nostro caso dove a farne da padrona è la francese Veolia, che sta monopolizzando a livello mondiale le risorse idriche.

Il ventilato rischio black-out, l'interesse nazionale e la promessa di nuovi posti di lavoro servono a giustificare la continua imposizione di centrali per la produzione di energia elettrica, anch'esse inquinanti e che producono variazioni climatiche nell'ambiente circostante. La Calabria è stata squarciata dalla realizzazione dell'elettrodotto Laino-Rizziconi, la piana di Gioia Tauro costretta ad "ospitare" un rigassificatore, una centrale turbogas in via di completamento ed altre 2 in progettazione. Tutto questo nonostante il parere negativo espresso dalla Commissione regionale per la Valutazione di Impatto Ambientale sulla centrale di Rizziconi, dove veniva evidenziato il fatto che già oggi produciamo un surplus di energia che viene esportata.

Anche la politica degli inceneritori e la privatizzazione dei servizi pubblici di raccolta dei rifiuti incidono negativamente sull'ecosistema, sia per quanto riguarda l'inquinamento dell'aria che quello di intere zone agricole. Le organizzazioni mafiose importano scorie nucleari e rifiuti tossici dal resto dell'Europa per seppellirle nei nostri mari, fiumi, boschi e terreni agricoli. Il controllo del territorio è totale, nonostante il commissariamento in materia di rifiuti sia in Campania che in Calabria, e va dal seppellimento di 35 mila tonnellate di rifiuti tossici nella Piana di Sibari, provenienti dalla Pertusola di Crotone, al traffico di amianto, alla gestione di discariche controllate. Inoltre la mafia ha gestito l'affondamento di ben 35 navi dal carico radioattivo nei mari Tirreno e Ionio. E anche per quanto riguarda i rifiuti "legali" c'è da segnalare il monopolio in Calabria della spezzina Termomeccanica che si ritrova a gestire, direttamente e indirettamente, l'intero ciclo con un pericoloso conflitto di interessi: può una impresa con grossi tornaconti economici gestire sia l'incenerimento dei rifiuti che la raccolta differenziata?

Questi sono esempi di politica neoliberista attraverso cui lo stato (e l'Europa) cede ai privati la gestione di beni e servizi pubblici, questi sono i contesti geopolitici che fanno parte ormai della nostra quotidianità. Tutto questo in nome del "progresso", della "velocità" e della "crescita" di un Meridione la cui diversità viene sistematicamente letta in termini di mancanza di "sviluppo" piuttosto che in termini di ricchezza culturale, sociale e di patrimonio ambientale.

A questo scempio complessivo, a discapito della nostra salute e di quella dei nostri figli e delle generazioni future, consegue lo sperpero di denaro pubblico, che potrebbe essere invece impiegato per garantire tutela dei territori, occupazione reale e forme di reddito sociale come misura di contrasto alla precarietà e alla disoccupazione.

A fronte di questi scenari apocalittici, la cui sola novità di fase è che a gestirli e ad avallarli sono i partiti della sinistra anche radicale ed i sindacati, intere comunità hanno osato alzare la testa e si sono ribellate da Nord a Sud in difesa del proprio territorio e del futuro dei propri figli. Da Scanzano alle due sponde dello Stretto, dalla Val di Susa a Termini Imerese, da Vicenza che grida NO al raddoppio della base militare USA a Pettogallico, a Venezia, a Gioia Tauro, ad Acerra... Ovunque le comunità locali si sono ribellate, realizzando forme di democrazia ed azione diretta a difesa dei propri territori, sviluppando una consapevole critica del modello di sviluppo, ed affinando le ragioni di un'alternativa radicale. Ed è in queste tante battaglie che abbiamo visto come le popolazioni che si riappropriano dei loro territori, ridiventano comunità, ritessono legami sociali ormai cancellati dalla società moderna, ripartecipano alla vita politica - luogo da cui la classe dirigente e la partitocrazia li avevano scacciati - riacquistano dignità attraverso l'autorganizzazione e l'autodeterminazione delle loro vite. Comunità locali che si alzano in lotta in difesa dei loro territori, coadiuvate dalle realtà antagoniste, dai sindacati di base, dai mille comitati e collettivi che nascono spontaneamente, dai centri sociali che hanno rappresentato un punto importante di riferimento per la promozione, la costruzione ed il sostegno ai conflitti che si sono sviluppati nei territori. Comunità capaci non solo di opporsi e resistere con ostinazione a chi antepone l'arrogante ragione della forza alla forza delle ragioni, ma anche di vincere: pensiamo alla lotta contro la  megacentrale a carbone prevista a Gioia Tauro, o contro l'impianto RSU di Pettogallico, o a Scanzano, o in Val di Susa.

Il pericolo maggiore, oggi come ieri, soprattutto nel nostro Sud, è quello di cadere in quella trappola dove si contrappone l'alibi di un posto di lavoro a chi difende il proprio territorio ed il diritto di intervenire nelle scelte sul suo uso, o meglio, abuso. Questa contrapposizione falsa, artificiale, dei disoccupati contro ambientalisti-figlidipapà viene spesso  difesa e sbandierata da un certo sindacalismo, in sudditanza totale al modello neoliberista,  incapace di vedere orizzonti diversi da quelli di basso profilo dove ci hanno ingabbiato. Trappola che sacrifica vocazioni, radici, appartenenze, tradizioni; trappola dentro cui il movimento non deve cadere, ma anche sfida per cercare  prospettive e proposte diverse. E questa sfida vogliamo  raccogliere  e rilanciare in avanti sul terreno delle proposte per un lavoro pulito sostenibile e duraturo; nella riqualificazione delle terre abbandonate; incentivando la piccola agricoltura di qualità, biologica o naturale, le filiere corte, l'artigianato ed i percorsi turistici interni;  nelle energie rinnovabili; nell'imposizione, a monte, di produzioni con materiali interamente riciclabili, e, a valle, con la raccolta differenziata porta a porta; con il modificare stili di vita e di consumo non più tollerabili, e così via, nell'unica direzione capace di offrire prospettive.

Spazzando via chi, ancora, continua a proporci cattedrali nel deserto, o qualche posto di lavoro negli inceneritori pagato socialmente con l'aumento vertiginoso dei tumori, o qualche altro posto nei cantieri della Salerno-RC, controllati dalla mafia, a costo dello spaventoso disastro idrogeologico di cui ci renderemo conto tra breve.

Le politiche scellerate di rapina sul territorio, sui territori, in barba a qualunque volontà delle popolazioni che ci vivono sopra, in barba a qualunque verifica di impatto ambientale che vengono sistematicamente bypassate, hanno prodotto, come risposta, non solo il mettersi  in rete delle esperienze resistenti, diffondendo informazioni e saperi sui danni a persone e ambiente, ma anche l'attivazione di un patto di solidarietà e mutuo soccorso, di cui il CSOA "Cartella", in prima fila da sempre nelle mobilitazioni contro il ponte sullo Stretto, è stato tra i promotori a livello nazionale.

Un patto che vuole essere un contenitore entro cui mettere in relazione le esperienze e le lotte, per valorizzarle, per non disperderle e per farne patrimonio comune, un modello da cui partire per cercare di praticare la partecipazione attiva dei cittadini, rifiutando di firmare deleghe in bianco a chicchessia o di imbrigliare le lotte per poterle "gestire".

Questa proposta di Patto noi vogliamo riportare e riproporre su scala locale oggi, qui, all'interno di questa iniziativa.

Vogliamo un lavoro pulito. Vogliamo un futuro pulito per noi e per i nostri figli.
Questa terra è la nostra terra, ed è anche l'unica che abbiamo.
La difenderemo!