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Maggio
22
2012

Da ilvizzaro.it

Scritto da c.s.o.a. Angelina Cartella

Al fianco del 'Cartella' per riprendersi il territorio


Mentre camminavo tra le ceneri del c.s.o.a. “Cartella” di Reggio, ieri, l’odore delle travi bruciate, delle cucine andate in fumo e della cenere e di tutto il resto, mi dava la nausea. Non era solo un fatto fisico, l’ho capito appena mi sono allontanato: ragionando sull’accaduto con i compagni del Brigante ho subito sentito un grande sconforto. E una nostalgia fortissima e irrazionale per Ciccio Svelo. L’assemblea pomeridiana, partecipata e incoraggiante, mi ha un po’ risollevato, ma l’amaro in bocca, andando via da quel cumulo di macerie, è rimasto eccome. Ed è tornato a diventare nausea quando ho letto i comunicati di solidarietà che inondano la rete.

Più che la retorica sulla funzione sociale (che tutti scoprono solo oggi) di uno spazio come il “Cartella”, dovrebbe interessare la matrice di quest’azione. Le svastiche disegnate con la bomboletta rossa, per esempio, sono insolite per chi vorrebbe rivendicare politicamente un atto violento di matrice anticomunista. L’incendio, questo è palese, è stato appiccato da mani “esperte”, che dovevano avere la sicurezza del controllo del territorio.

Reggio è una città difficile. Dall’inizio degli anni ’70, dalla rivolta dei “boia chi molla” di Ciccio Franco, progenitore politico di Scopelliti, nella città sono costantemente presenti apparati di potere occulti che troppo spesso hanno goduto della collaborazione – è storia – tra la borghesia ‘ndranghetista, l’eversione nera e i servizi segreti deviati. Apparati sempre presenti, redivivi. Che forse vacillano e quindi reagiscono. Qui quello che conta è il territorio. Il controllo capillare dell’economia e del consenso.

Il territorio è l’obiettivo dei ragazzi del Cartella, come di molte altre realtà sociali che in Calabria stanno per la prima volta facendo rete. Hanno occupato spazi che erano stati pagati con soldi pubblici, dei cittadini, ben presto finiti nel degrado, in mano ai caporioni delle ‘ndrine di Gallico, dei Iannò e dei Suraci e di molte altre “famiglie”. Hanno combattuto lo spaccio di eroina, che in quella piazza, prima che arrivassero loro, era prospero. Hanno fatto teatro, hanno organizzato servizi per gli immigrati, hanno creato forme di microeconomia sostenibile. Sono stati avvertiti tante volte, minacciati, che quando sarebbe stata l’ora, da lì avrebbero dovuto andarsene. L’ora a quanto pare è arrivata. Ma non se ne vanno, e provano a convincerli con le fiamme.

Quello spazio è strategico, appetibile per molti. Con i lavori del lungomare e lo svincolo A3 a pochi metri, l’area ha un potenziale commerciale su cui qualcuno vuole mettere il cappello, anzi la coppola. Poi i ragazzi parlano, scrivono, fanno un sacco di iniziative, cercano di riprendersi la periferia. Ovvio che danno fastidio. Non deve sorprendere, quindi, se in questo surrogato di democrazia che è l’Italia, la prima preoccupazione del ministro Cancellieri è il popolo No Tav - e non, ad esempio, lo strapotere della ‘ndrangheta o il voto kazako di Catanzaro - se il potenziale leader del centrotrattinosinistra dice che bisogna negare l’ambulanza a chi non paga le tasse, se nessuna istituzione (Comune, Provincia, Regione) sente il dovere di schierarsi incondizionatamente al fianco dei ragazzi del Cartella. La discussione, oggi, non è sul loro operato, né sulla loro ideologia politica. La gravità e la violenza dell’atto che hanno subìto impongono una riflessione a livello superiore. In Calabria, ma non solo, ci sono persone che impegnano il proprio tempo a lavorare per sottrarre spazi e persone al degrado, alla malavita, all’abbandono. Quello che fanno può anche non piacere, è discutibile come ogni cosa, ma di fronte ad un’aggressione del genere, non si può cedere a timidezze o a personalismi. Bisogna stare con loro e aiutarli a ricostruire, con i fatti. Perché è chiaro da che parte stanno, non c’è ambiguità. Quello che non è chiaro, purtroppo, è da che parte sta lo Stato.