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Stop Afrin genocide!

Afrin 

 

 

APPELLO URGENTE PER AFRIN - MASSIMA CONDIVISIONE 

Questo è il messaggio che Jacopo, redattore di Infoaut che si trova nel cantone di Afrin dall'inizio dell'aggressione turco-jihadista, ci ha fatto arrivare poco fa. Chiediamo a tutti/e la massima diffusione!

Nelle ultime ore la situazione ad Afrin si è fatta più critica: l’esercito turco invasore e le bande jihadiste sue alleate si sono avvicinate alla città da diversi lati, in particolare dalla direzione di Shera. Sono a 2,5 km di distanza e minacciano direttamente la città. La situazione dentro Afrin è quella che c’era già in questi giorni, quindi alta densità di popolazione, tanti rifugiati dai villaggi che qui hanno trovato rifugio dalla guerra e dai bombardamenti, mancanza di acqua perché quando i jihadisti e l’esercito turco hanno  preso la diga di Meidanki hanno tagliato la fornitura e bombardato le stazioni di pompaggio in altri villaggi. Mancano anche alcuni generi di prima necessità. Adesso il rischio concreto è che nelle prossime ore ci sia una situazione sempre più critica e che attacchino la città; già in questo momento ci sono bombardamenti di artiglieria e di aerei nelle zone periferiche della città.
Il Tev Dem ha chiamato a una mobilitazione generale, a una sollevazione in tutti i posti e le piazze del mondo per difendere Afrin, per fermare il progetto di pulizia etnica che Erdogan e i jihadisti vogliono attuare sulla popolazione di Afrin, per chiedere una no fly zone che fermi i bombardamenti aerei, che sono anche quelli che causano un numero elevatissimo di vittime civili e che se in questa città dovessero aumentare ancora e arrivare fino in centro produrrebbero sicuramente un massacro. Queste azioni sono già in essere in molte città europee, anche in Bashur.
Adesso quello che bisogna fare è rompere il silenzio della comunità internazionale che di fatto è complice con questo piano; questo è quello che a tutti i popoli del mondo viene chiesto di fare per sostenere Afrin e la sua popolazione, per supportare la rivoluzione della Siria del nord e quindi la speranza e l’esempio della rivoluzione del nostro secolo per una società libera e democratica in cui tanti popoli diversi possono vivere assieme e che sia anche una proposta di pace per la Siria. Una sollevazione per difendere Afrin ma anche per difendere una speranza per tutta l’umanità.
#DefendAfrin

 

Le truppe di Ankara e i miliziani di opposizione stanno circondando la città principale del cantone. Crisi umanitaria, mancano acqua e cibo. Le città europee manifestano ma i governi restano in silenzio

 

della redazione NENA NEWS

Roma, 12 marzo 2018, Nena News

 Le truppe turche e i miliziani dell’Esercito Libero siriano al soldo di Ankara sono alle porte di Afrin. Due chilometri dalla principale città del cantone curdo nel nord della Siria. La paura è enorme, la paura di un massacro.

Nel silenzio internazionale per un’offensiva fuori dalla legalità, l’amministrazione autonoma di Afrin ha fatto appello al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite perché intervenga a fermare Ankara: “Negli ultimi giorni lo Stato fascista turco sta cercando di portare avanti attacchi contro la popolazione civile ad Afrin – si legge nel  comunicato, letto ieri da Sex Isa, co-presidente del Consiglio esecutivo – Centinaia di civili, compresi donne e bambini, sono stati massacrati a seguito di questi attacchi. Oltre agli attacchi armati, l’esercito turco invasore sta cercando di prendere di mira gli approvvigionamenti di acqua potabile, scuole e abitazioni”.

Si mobilita anche la popolazione: i civili si stanno organizzando per fare da scudi umani intorno alla città per impedire l’invasione dei carri armati turchi. Ieri altri villaggi della periferia nord e sud di Afrin sono stati occupati dalle truppe turche e dall’Esercito Libero. Le ultime ore sono state pesantissime: i raid aerei si sono intensificati, internet è stato sospeso e l’acqua corrente interrotta. Dietro, la minaccia del presidente Erdogan che sabato dava Afrin per caduta in pochi giorni e l’intenzione di procedere oltre, verso est, verso Kobane e Manbij. Parla di “liberazione”, Erdogan, e del piano di spostare ad Afrin centinaia di migliaia di rifugiati siriani che oggi si trovano in territorio turco. E accusa anche la Nato di non appoggiare direttamente “Ramo d’Ulivo”.

Eppure un sostegno c’è, quello del silenzio più totale: gli Stati Uniti, alleati curdi nel nord, non parlano né intervengono, la Russia – dopo l’iniziale via libera al governo di Damasco ad inviare combattenti al confine – tace e lo stesso governo siriano non sta utilizzando gli uomini filo-Assad mandati nelle scorse settimane ad Afrin a difesa delle frontiere. Un’omertà che permette ad Ankara di allargare ulteriormente le operazioni: ieri sono ripresi i bombardamenti aerei contro il nord dell’Iraq e almeno 18 postazioni del Pkk, nelle montagne di Qandil dove i combattenti curdi si ritirarono durante il processo di pace voluto da Ocalan. All’iniziale protesta irachena, Ankara ha risposto con una serie di accordi bilaterali siglati a gennaio con cui zittire il governo di Baghdad.

La situazione nel cantone è terribile: al mezzo milione di sfollati che vivono ad Afrin, accolti in questi anni dai 500mila abitanti originari, se ne aggiungono altri. Fonti interne raccontano di famiglie che aprono le porte a chi ha perso la casa, ma ora la crisi si allarga a causa della mancanza di acqua e la scarsità di cibo e medicinali.

Da Afrin dove si trova per raccontare l’operazione turca “Ramo d’Ulivo”, lanciata dalla Turchia il 20 gennaio, Jacopo Bindi ieri scriveva: “Nelle ultime ore la situazione ad Afrin si è fatta più critica: l’esercito turco invasore e le bande jihadiste sue alleate si sono avvicinate alla città da diversi lati, in particolare dalla direzione di Shera. Sono a 2,5 km di distanza e minacciano direttamente la città. La situazione dentro Afrin è quella che c’era già in questi giorni, quindi alta densità di popolazione, tanti rifugiati dai villaggi che qui hanno trovato rifugio dalla guerra e dai bombardamenti, mancanza di acqua perché quando i jihadisti e l’esercito turco hanno preso la diga di Meidanki hanno tagliato la fornitura e bombardato le stazioni di pompaggio in altri villaggi”.

“Mancano anche alcuni generi di prima necessità. Adesso il rischio concreto è che nelle prossime ore ci sia una situazione sempre più critica e che attacchino la città; già in questo momento ci sono bombardamenti di artiglieria e di aerei nelle zone periferiche della città. Il Tev Dem ha chiamato a una mobilitazione generale, a una sollevazione in tutti i posti e le piazze del mondo per difendere Afrin”.

E sta succedendo. Tra sabato, ieri e oggi si stanno tenendo manifestazioni e presidi in tutta Europa: in Germania a Berlino, Amburgo, Dusseldorf, Brema, Stuttgart, Hannover, Colonia; in Olanda ad Amsterdam; in Francia a Parigi, Lione, Marsiglia e Tolosa; in Danimarca a Copenaghen; in Svezia a Stoccolma e Goteborg; in Norvegia a Oslo; in Russia a Mosca; nel Regno Unito a Nottingham, Manchester, Liverpool e Cambridge; in Svizzera a Zurigo; in Belgio a Bruxelles.

C’è anche l’Italia: sabato è stata la volta di Torino, oggi nel pomeriggio toccherà a Roma, Padova e Bologna. Nena News

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