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Maggio
06
2008

Verso l'incontro di Riace...

Scritto da c.s.o.a. Angelina Cartella
calabria_ribelle

In vista dell'incontro nazionale del Patto di Solidarietà e Mutuo Soccorso che si terrà a Riace il 24 e il 25 maggio, la rete delle realtà calabresi di lotta che vi aderiscono si è riunita il 26 aprile al C.S.O.A. Cartella di Reggio Calabria, insieme alle soggettività messinesi con cui si condividono problematiche e lotte.

Al di là dell'impossibilità di alcune realtà di partecipare all'incontro, è stata un'occasione per ritrovarsi e per confrontarsi sulle contraddizioni che la nostra regione esprime, sempre più stridenti e che confermano una linea di tendenza storica nel segno dell'espropriazione e del degrado, che oggi si radicalizza e sembra diventare definitiva negli esiti.

La Calabria come estrema periferia coloniale dell'"impero" Europa si trova oggi più che mai oggetto di interventi devastanti che, se non efficacemente contrastati, comprometteranno definitivamente ogni equilibrio ecologico e sociale e renderanno invivibili, se ancor più possibile, le condizioni delle popolazioni che vi risiedono.

Dal Pollino allo Stretto, la lista delle doglianze di questa terra martoriata si fa infatti sempre più lunga e terribile.

A partire dall'interminabile e strumentale emergenza ambientale che, anche qui, ha assecondato la nefasta opzione inceneritorista, senza eliminare, anzi cronicizzando, le speculazioni economico-mafiose delle discariche legali e abusive.

Seguendo il filo degli interessi di chi continua a sostenere che gli inceneritori valorizzano e che i rifiuti sono fonte energetica rinnovabile, si arriva presto agli appetiti del capitalismo energetico che vuole imporci il più grande rigassificatore tra quelli previsti in Italia e intorno a questo una miriade di centrali, tra biomasse, turbogas e carbone, ad appestare l'aria di una regione che già esporta più del trenta per cento dell'energia prodotta.

Ancora, seguendo gli intrecci societari che mischiano singolarmente l'elettricità con i rifiuti e l'acqua nell'unico grande business dei servizi pubblici locali, sempre meno pubblici in verità e ancor meno servizi, incontriamo la più grande multinazionale del ramo, la francese Veolia, cui sono state svendute le nostre risorse idriche, come già altrove in Italia aumentando tariffe e disservizi, ma in un contesto, qui, dove spesso farsi una doccia è un lusso. A questo si somma la desertificazione quale effetto, il più distruttivo, dei cosiddetti "mutamenti climatici", che proprio nella Calabria trova la regione più esposta d'Italia.

Ma le nuove devastazioni non eliminano quelle vecchie, e con suggestivi nomi come Europaradiso ecco ripresentarsi gli speculatori dell'industria turistica, locale, nazionale ed internazionale, che continua a consumare scelleratamente il territorio al punto da rendercelo inguardabile ed inagibile.

Fino ad arrivare, lungo la stessa via di cemento armato, alle piccole, grandi e grandissime opere, che dietro la mistificante chimera del "ponte sul mediterraneo" ci vogliono seppellire vivi tra i piloni del Ponte sullo Stretto, e prima ancora prospettarci un futuro prossimo d'interminabili cantieri, come quelli della famigerata A3, senza risolvere e anzi aggravando il problema di come spostarci da paese a paese, da costa a costa, o di partire e ritornare in condizioni di viaggio dignitose e umane.

Per non parlare infine di porti e zone franche, ovvero di Gioia Tauro "volano dello sviluppo regionale", tanto magnificato da istituzioni e grandi imprese quanto terribile nelle condizioni neoschiavistiche che vi s'impongono ai lavoratori, ostaggi di una terra che paga caramente la propria fame di occupazione e benessere...

Lo scenario che si profila è dunque quello di una regione condannata dal capitale e dai suoi governi alla monocultura più infestante, quella che prende il nome di logistica e vuol dire terra destinata a ospitare impianti inquinanti, mezzi di trasporto ultraveloci in transito e turisti stagionali in massa; terra sempre più degradata e priva di abitanti, salvo pochi lavoranti schiavizzati, ché chi non emigra perché non vuole o non può è destinato a morire di ‘ndrangheta, repressione o nocività.

Tutto questo a vantaggio del blocco economico sociale dominante che coniuga notabilato locale in cerca di nuove clientele, imprenditoria variamente collusa sempre a caccia di finanziamenti da malversare e capitale mafioso da reinvestire e moltiplicare attraverso questi mega-appalti, con tutto il sanguinolento corollario di lotte per l'egemonia territoriale condotte a forza di bombe e mitragliate.

Al di là di ogni analisi politicamente schierata, arrivano le inchieste della magistratura a confermare la saldatura storica di questo complesso di potere con la politica nazionale, che ne raccoglie i consensi, e il grande capitale, che lo usa come puntello per saccheggiare selvaggiamente un territorio e sfruttarne liberamente la popolazione.

Per fare qualche nome, Italcementi, dell'industrial capitano Pesenti, icona del cementifero e sottosviluppato capitalismo nostrano, si scopre legata alle cosche della piana di Gioia Tauro, come succede specularmente in Sicilia tra la gloriosa Calcestruzzi e Cosa Nostra, per governare gli appalti e garantirsi una manodopera sottomessa e sottopagata.

Ecco che questa saldatura si rinnova oggi attraverso l'ondata delle grandi opere, con cui le cordate del capitale italiano pensano di affrontare la fase di crisi recessiva acuta, pompando i profitti attraverso l'investimento pubblico... che novità!

Impregilo, che vuol dire Gavio, Benetton, Capitalia, e appunto Pesenti... ma pure la concorrente Astaldi, la più antica Ansaldo e le megacooperative rosse (???)... e ancora Belleli e poi ancora De Benedetti, coi suoi rigassificatori e le sue centrali, per finire ai colossi del capitale pubblico energetico Enel ed Eni.

Tutti accompagnati e concorrenti delle multinazionali europee, che nell'Unione fortezza del libero mercato unificato possono ora venire anche loro qui a sradicare alberi ed aprire cantieri.

Ma non ci siamo riuniti per suonare le campane a morto della nostra terra.

L'incontro è stato soprattutto l'occasione per fare il bilancio di un anno di lavoro e lotte.

Perché se lo scorso è stato l'anno della fioritura in tutt'Italia del Patto del Mutuo Soccorso, attraverso una moltiplicazione dei fronti di lotta, è vero anche che la Calabria ha visto il rinascere di un movimento territoriale diffuso che non si vedeva dai tempi dell'epocale lotta contro la megacentrale a carbone di Gioia Tauro; un movimento che trova i prodromi negli anni di mobilitazione continua contro la minaccia, mai veramente sventata e oggi nuovamente in auge, del Ponte sullo Stretto.

La manifestazione del 22 dicembre a Gioia Tauro, contro tutti gli impianti inquinanti e per la difesa dei beni comuni, ha rappresentato il momento di piazza più qualificante di questa stagione, con ottomila persone mobilitate, presente anche una delegazione del presidio di Grottaglie, mentre contemporaneamente a Crotone si protestava contro la megadiscarica e a Napoli contro il nuovo scellerato piano rifiuti... una giornata che prefigurava l'unità d'azione meridionale delle lotte territoriali.

Ma quella era anche una giornata che sanciva la saldatura tra la resistenza della popolazione della piana e la lotta della più importante realtà occupazionale dell'area: il porto di Gioia Tauro. Abbiamo così verificato come la protesta contro gli impianti inquinanti possa acquisire uno strumento d'impatto micidiale come lo sciopero, che tra i portuali registrò quel giorno un'adesione dell'80%. A partire da quel momento abbiamo approfondito i legami tra queste due lotte, rompendo l'isolamento che soffocava quella dei portuali, secondo le intenzioni criminalizzanti della multinazionale che gestisce il porto e che li vorrebbe acquiescenti e sottomessi a ringraziare per il posto di lavoro elargito.

Ma al di là di momenti di piazza più o meno riusciti, abbiamo riconosciuto la necessità di confrontarci e riflettere sulle difficoltà del lavoro quotidiano nei territori. La pratica dell'autorganizzazione, come momento di crescita di quella coscienza collettiva necessaria per costruire percorsi di lotta duraturi ed efficaci, si misura sulla nostra capacità di radicamento e messa in responsabilità diretta della popolazione che risiede in questi luoghi. In questo senso, si è voluto problematizzare le forme comunicative con cui ci relazioniamo alla società civile, individuando in questo il presupposto di ogni sviluppo della lotta. "Parliamo come mangiamo" si è detto, a sintetizzare l'esigenza di strategie comunicative che sappiano superare la diffidenza spontanea che in questi contesti si respira verso i discorsi "politici". Deideologizzare il nostro lessico è dunque il primo passo. Ma le nostre non sono campagne d'opinione e l'autorganizzazione non si esprime nei convincimenti ma nella lotta fattiva. Per questo, il problema della comunicazione va posto in relazione con la necessità di creare spazi di socializzazione nei quali il nostro messaggio possa tradursi in pratica collettiva.

Perché al di là delle suggestioni esotizzanti di moda nei salotti radical-chic della metropoli, non è affatto vero che il Mezzogiorno d'Italia sia ancora la terra delle comunità integre e felici, dei valori autentici e delle tradizioni sane. Il Mezzogiorno e la Calabria in particolare è ancora la terra dei paesi, ma questi subiscono come e più della metropoli un processo di degrado e disgregazione che è prossimo ad annullare ogni vitalità sociale. Le piazze si svuotano e i centri commerciali si affollano di gente tutta presa ad ammassare i simboli del benessere consumistico nei salotti di casa. E nell'inseguimento di questi bisogni indotti aumentano i debiti, diminuiscono i servizi e decade l'ambiente che circonda le nostre case, mentre la frustrazione cresce proporzionalmente alle illusioni assorbite dalla televisione e ci impedisce d'individuare le cause reali del nostro malessere. È così che l'emigrazione ritorna l'unica via di fuga possibile per chi vuole raggiungere gli artificiali paradisi di benessere metropolitano. Lo sradicamento il punto d'arrivo reale di questo processo.

Riattivare pratiche di socializzazione primaria, riacquistare il senso dello spazio comune come luogo dello stare insieme risulta quindi essere la prima conquista, propedeutica allo sviluppo di un rinnovato senso del bene comune come noi lo auspichiamo. Stare insieme per decidere insieme.

A questo scopo, superare definitivamente la vulgata del "popolo dei no", argomentare, sviluppare le nostre proposte e soprattutto divulgarle è un compito immediato e improrogabile. In questo senso vanno chiariti i termini di accesso alle istanze decisionali o consultive (commissioni provinciali, regionali, nazionali..., VIA, VAS, AIA), presso le quali far valere le nostre competenze, la razionalità dei nostri no, la fattibilità delle alternative e capitalizzare il patrimonio di consenso popolare raggiunto.

Ma neanche questo basta, ché il capitalismo, si sa, ha un'indole "anarchica" e quando serve bypassa tanto il buon senso della scienza quanto il vincolo di legalità. La questione non è tecnica, bensì politica. È una questione di potere. A fronte degli assetti che vorrebbero i processi di trasformazione dei territori governati a discrezione solo di imprese e governanti, bisogna opporre la sovranità popolare quale unica istanza decisionale legittima. L'autogoverno diventa allora la prospettiva strategica dei movimenti territoriali e il senso politico ultimo del processo di crisi della rappresentanza da questi innescato. Ma questo processo costituente di un contropotere popolare territoriale deve dotarsi di una tattica e una strategia adeguate, di obiettivi intermedi attraverso i quali conquistare passo passo quote sempre maggiori di potere decisionale.

Questa chiara esigenza di radicamento si presenta ancora più stringente alla luce della fase che si prospetta. Al di là dei risultati elettorali, ché in questa come in tutte le questioni essenziali la contrapposizione tra i due schieramenti si rivela una pura formalità, si apre una fase di accelerazione di tutti i processi di riassetto territoriale che in questi anni sono stati preparati dai governi di ogni colore, tanto con dispositivi legislativi ad hoc (Legge Obiettivo, Sblocca Centrali...) quanto con la proliferazione, approvazione e avviamento dei vari interventi (centrali, ponti, autostrade, Tav) che, secondo i piani di adeguamento infrastrutturale di Confindustria, sono essenziali a riavviare il ciclo dell'accumulazione capitalistica. Non transigere né esitare è il mandato che prima delle elezioni Montezemolo ha trasmesso a entrambi i candidati Premier e possiamo star ben certi che il costituendo governo lo rispetterà, passando come un rullo compressore su tutte le resistenze locali che intralciano i piani di lor signori. E allora le RESISTENZE dovranno RESISTERE più fortemente e a questo compito prepararsi trovando più saldo radicamento nel tessuto sociale e metodi più efficaci di lotta per non essere spazzate via.

S'impone allora un superamento del mutuo soccorso, che pure è necessario ma non basta ad articolare efficacemente le varie resistenze in una prospettiva strategica. Per essere concreti: se ad Aprilia si combatte contro la centrale a turbogas che la Sorgenia di De Benedetti vorrebbe costruire mentre a Gioia Tauro si prepara la resistenza alla realizzazione del megarigassificatore, che fa capo alla stessa azienda, è insensato che le lotte procedano parallele e unite solo da un generico vincolo di solidarietà. Serve una strategia chiara che articoli i passaggi di entrambe le lotte in una prospettiva volta ad inceppare i piani del nemico comune. Perché probabilmente la Sorgenia non avrà più interesse, o ne avrà meno, a costruire la Turbogas di Aprilia se non potrà disporre del gas naturale a basso costo garantito col rigassificatore di Gioia Tauro.

In questo spirito abbiamo ragionato sull'incontro di Riace, a partire dal riconoscimento di uno specifico storico economico e sociale dell'area meridionale che giustifica un'articolazione il più stretta possibile dei percorsi di lotta che vi si realizzano.

Perché specifico è il modo in cui funziona nelle nostre aree il miraggio occupazionale, con cui spesse volte si vogliono sedurre le popolazioni di un territorio destinato ad accogliere uno di questi mostri. Specifico, in senso statistico perché maggiore, è il disagio economico che rende allettanti indennizzi economici e opere compensative che rispondono all'aspirazione spasmodica di benessere consumistico. E specifico, ancor di più, è il complesso d'inferiorità che le nostre popolazioni colonizzate subiscono verso l'onnipotenza del capitalismo industriale, anche in virtù delle fanfare mediatiche che c'inculcano la visione salvifica dello "sviluppo" e non ci fanno vedere come questo, storicamente, si sia già realizzato nei nostri territori come sottosviluppo, complementare e funzionale al primo. Il nostro malessere è l'altra faccia del benessere delle fasce sviluppate. Noi siamo il terzo mondo all'interno del primo mondo.

Per questo proponiamo che le realtà di lotta meridionali che parteciperanno a questo incontro nazionale arrivino a Riace già dalla sera del 23, in modo che la mattina seguente si possa realizzare una prima assemblea meridionale...

Riteniamo inoltre di dover arrivare a quest'appuntamento adeguatamente preparati, per dare allo stesso un respiro programmatico che ci faccia avanzare concretamente nel senso sopra indicato.

E allora proponiamo che tutte le realtà di lotta calabresi s'incontrino nuovamente in una data intermedia per affrontare tematicamente le varie questioni ed articolarle in una visione organica da confrontare con quella delle altre regioni. E auspichiamo che, se si vorrà accogliere l'invito a un'assemblea meridionale, lo stesso si faccia nelle altre regioni del sud Italia.

Per questo proponiamo una discussione che approfondisca le seguenti tematiche:

  • Infrastrutture, consumo del territorio e speculazione turistica ed edilizia
  • Privatizzazione di beni e servizi
  • Smaltimento rifiuti e nocività
  • Servitù energetiche
  • Rapporto tra lotte dei lavoratori e lotte per la difesa del territorio
  • Comunicazione e circolazione delle lotte